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MY IMMORTALS

Tancredi Parmeggiani a Feltre

(9 aprile – 28 agosto 2011​)

 

“Il mio vocabolario è l'universo...

un uomo è tanto più grande quanto universo

ha in sé”​

                                        

                                        Tancredi



“La mia arma contro l'atomica è un filo d'erba"            

                         Tancredi

​“In futuro...

ci si renderà conto della grande importanza germinale di questo pittore.”​

                            Peggy Guggenheim

Il ricordo di Tancredi è, per me, quasi una questione affettiva. Me me parlava sempre il maestro Antonio Questorio (1940-2014), un amico pittore di Thiene. Quest'ultimo, già compagno di studi del genio di Feltre, mi descriveva spesso la personalità complessa ed introversa di un ragazzo taciturno che viveva solo per quella rivoluzione della pittura informale a cui lui stesso stava dando un significativo contributo negli anni cinquanta del '900 italiano. Una parabola esistenziale che si sarebbe conclusa con il drammatico suicidio del 1964 a Roma. La Galleria d'arte moderna “Carlo Rizzarda” di Feltre presenta una grande mostra celebrativa proprio nella sua città natale, contraddicendo quella massima che vuole nessuno profeta in patria. Viceversa, Feltre riconosce Tancredi e, non solo, ne abbraccia la memoria e ne certifica quel valore indiscusso che incantò, in illo tempore, personaggi come Peggy Guggenheim a Venezia e Beatrice Monti della Corte a Milano. Natura=spazio, era il suo teorema fondamentale. Tancredi parte dallo spazialismo di Fontana ed arriva a concepire una pittura tutta sua, microspaziale e policromatica che lo stesso Questorio definiva “molecolare”. Tancredi era affascinato dagli accostamenti di colori, dalle moltitudini informali che occupavano tutti gli spazi della tela, Un pennello incessante e velocissimo, una mano da spadaccino, una pittura piena di vita ed intensità vibratile. Da instancabile inventore, una ne faceva e cento ne pensava. Si divertiva a rappresentare fantasmi dell'inconscio, mostri improbabili, alieni. Immaginava di frustare draghi coloratissimi, rincorrere le streghe e, in qualche modo, afferrare proprio quei fantasmi personali che non lo abbandonavano mai, spesso perseguitandolo. Un Tancredi intimo ed intenso, al limite del deragliamento psichico e delle sindromi maniacali. Ma geniale, sempre. E profondamente umano, umanissimo. Egli, che amava la luce norvegese eppoi quella lagunare, di Venezia, cui aveva legato la parte più fortunata della sua carriera; egli, che diceva di non saper scrivere, ma si dimostrava – nei suoi appunti – uomo di pensiero colto e raffinato. Scrisse: “Dal punto io parto attraverso grafie e colori istintivi per la conquista di nuove immagini di natura...” Ed il nuovo, in lui, lo si leggeva chiaramente. Aggiungere un qualcosa al mondo per mezzo di uno stile proprio, ecco la partita che lui giocò, perdendola nella vita personale e vincendola nella storia contemporanea che lo avrebbe in seguito riconosciuto e consacrato.

La luce ed il colore sono il cuore della percezione sensoriale, la vita che si squaderna e si accende negli aspetti emotivamente più coinvolgenti. Questo Tancredi lo sapeva e si lasciò andare al suo istinto di artista purosangue che ha creduto in se stesso finché ha potuto e si è sentito compreso da chi gli stava intorno.


Mi rimarrà sempre nel cuore questa mostra in una Feltre silenziosa e assolata, che a lui sarebbe tanto piaciuta. Come mi rimarranno le suggestioni dei racconti dell'amico Questorio. Anche loro pensavano che quelle serate veneziane, quelle mostre leggendarie, quelle cene infinite in piena dolce vita non finissero mai e continuassero per sempre a cavallo di quella rivoluzione informale del gusto estetico che si definisce “microspazialismo”. Oggi è la delizia delle gallerie più ricercate e dei collezionisti più sofisticati. Ma, aldilà del fenomeno di mercato, guardiamolo semplicemente con gli occhi aperti e cerchiamo di comprenderlo con gli occhi chiusi...

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