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MY IMMORTALS

I miei luoghi

L’acropoli di Alatri

 


Presso Frosinone, è uno dei luoghi che richiamo costantemente alla mente per inspiegabili ragioni del cuore e dell’intelletto. La potenza di quei massi incastrati fra loro senza cemento o calcestruzzo è per me motivo di pensieri diversissimi, al limite del fantastico, ai confini dell’archeoastronomia, se è vero che il perimetro delle mura riproduce la costellazione dei Gemelli nel solstizio d’estate. Quei massi sono un autentico mistero. Mi riesce difficile pensare all’esecuzione del progetto, all’immane sforzo di realizzare una struttura di tali proporzioni. Un architrave monolitico da 27000 chilogrammi sistemato nella sua posizione, se non è stato sollevato dai ciclopi, cosa poco probabile da concepire per un razionale come me, lo è stato dalla forza umana. Quali conoscenze di ingegneria ed architettura potevano possedere i Pelasgi forse 2600 anni fa? E perché disporre gli incastri ad onda, come sul lato nord? Il vento di Alatri mi accoglie ogni volta passo a trovarla. Non so perché, ma lassù non incontro mai nessuno durante le mie visite. Le case vicine sono chiuse, desolate. A volte ho la sensazione che se ne siano andati tutti da secoli portandosi con sé il grande segreto.

L’acropoli di Alatri

Monteriggioni

'Montereggion di torri si corona... '

(Dante - Inferno, XXXI)

Monteriggioni

Si colloca in pieno medioevo. Qui la modernità non è mai arrivata anche se siamo a pochi chilometri dalla caotica Siena, oramai destinata a divenire simile a Venezia. Monteriggioni no, è un’altra cosa. Pochi locali, poche automobili, tantissimi ulivi e tante torri. Quelle torri che vide Dante in uno dei suoi viaggi e che immaginò simili ai giganti demoniaci dell’inferno. La piazza spaziosa ed assolata è il nucleo di una vita paesana discreta, da sabato del villaggio. La scoprii alcuni anni fa e da allora sento il desiderio di rivederla periodicamente, come fosse una ragazza del passato dalla bellezza mai sfiorita e dimenticata. Sarei tentato di definirlo il luogo più bello del mondo, e forse lo è. Qui c’è la speranza di vedere il tempo fermo perché non ci sono mai sorprese o spiacevoli novità. Qui non è possibile vedere un condominio di dodici piani edificato in una settimana dal solito palazzinaro di turno. Le ristrutturazioni sono discrete, le insegne piccole e composte. La civiltà sta risparmiando questo sogno, almeno sino ad ora.

San Leo

San Leo

È la mia città ideale. Bella, massiccia, inaccessibile, vera. Non troppo fredda, non troppo calda, con le architetture monocrome disposte a corona come quinte teatrali attorno alla piazza. A San Leo, infatti, non ci sono colori se non quelli della calda roccia naturale. Siamo ai confini tra Marche e Romagna, arroccati alle pendici di un gigantesco masso che, pare, ispirò Dante nel disegno della montagna del Purgatorio. Ma qui è il Paradiso. Da lontano si scorgono i bagliori irrequieti di una Rimini che non dorme. Qui invece c’è ancora pace, silenzio. C’è tutto. Un municipio, una pieve, un duomo, un castello, un forno per il pane ed una fontana per bere l’acqua. Le persone sono sempre quelle, da secoli. Salendo verso il castello del conte di Cagliostro, nelle sere d’estate, si alza un venticello che mano mano acquista forza. Il maniero, progettato da Francesco di Giorgio Martini per il duca di Urbino, s’innalza prepotente alle pendici del monte. Mi affaccio a quell’estremo, come sempre. Una rupe terrificante, a strapiombo, non lascia speranza in caso di vertigine. È un vuoto pazzesco, un orrido che la leggenda vuole sia stato scalato e superato dal duca di Montefeltro, Federico, alla conquista della rocca. Qui finisce il mondo.

Villa Santo Stefano

Villa Santo Stefano​

Non è un luogo d’arte in senso stretto o, perlomeno, non lo è se paragonato alle altre meraviglie d’Italia. È semplicemente il paese di mio padre Emilio, in quella Ciociaria che è per me il mondo dei balocchi, ove si concentrano i ricordi più belli delle estati bambine. Una torre circolare domina il paese e la vallata. È la rocca, il riferimento di tutti i paesani, è il luogo degli incontri serali dove architettavamo gli scherzi e le burle quando ci si divertiva con poco. Eppoi la piazza enorme, il convento giallo delle monache, i vicoli angusti in cui saliva la fresca aria della valle e l’odore della pizza nel forno. Mi sono sempre chiesto il motivo di quel fascino irraggiungibile da racconto di Collodi. Oggi sono cresciuto ed ancora non me lo sono spiegato. Forse una risposta me la potrà dare, un giorno, l’amico Giancarlo Pavat, storico attento e preparato del luogo. Recentemente ha portato alla luce una storia antica. Quella dei Cavalieri del Silenzio che, pare, siano passati di lì per regalarci un filo da seguire che il tempo ha nascosto ma non spezzato…

Brisighella

Brisighella

 

Paesino in provincia di Ravenna, è il classico luogo delle favole. Nel centro storico, la via degli Asini, caratterizzata dal suo percorso irregolare a onde, è l’antica via medievale perfettamente conservata, con i locali adiacenti che un tempo erano botteghe ed ora ricercati studi di notai e avvocati di grido. Brisighella è un piccolo sogno se guardiamo verso la sommità del colle, con il castello e la torre dell’orologio fermi lì da secoli. Per me è uno dei luoghi più belli. Pensare che pochissimi lo conoscono. Pochi turisti, pochi abitanti, tanta bellezza. E la monumentale statua “Il fante a riposo” di Domenico Rambelli che giace nella parte bassa del paese. Un grande scultore che nessuno, o quasi, ricorda più.

Vinci

Vinci

È indefinibile. Un luogo fuori della realtà, quasi frutto dei miei sogni migliori. Certo, Leonardo a Vinci visse poco ma, la sua coscienza di bambino prodigio si formò qui, precisamente nella collina di Anchiano, sopra il paese. Un luogo bellissimo con un’infinita distesa di ulivi e alberi di fico. La sera si leva un vento surreale, caldo e dolcissimo. La casa di Leonardo bambino è in mezzo a questo paradiso. Non mi stupisco che la sua mente abbia preso la direzione che conosciamo, e che abbia partorito tali idee geniali. La Natura insegna, sostiene, consiglia. Qualche anno fa ebbi il privilegio di pernottare a pochi metri nel casale del dottor Gori, un chirurgo gentiluomo (connubio non sempre compatibile!) di Empoli che mi mise a disposizione una grande stanza con mura in pietra e travi a vista. Quei giorni non potrò più dimenticarli.

Le terre di Toscana sono tutte da baciare.


Essa è il mio vero, grande Amore. Per definirla, il dire è sempre corto. La potrei riassumere con due colori. L’azzurro infinito della volta del cielo e l’ocra delle crete nella stagione del sole più innalzato. Con i cipressi che, altissimi, custodiscono la memoria.

Montebello

Il Castello di Montebello

Presso Torriana, è un non luogo, in realtà. Inaccessibile, vi si arriva da una stradina fra i colli, sopra la val Marecchia. Siamo poco distanti da Sant’Arcangelo di Romagna e Rimini. Il borgo è piccolissimo, vi sono solo anziani, gatti sonnolenti e un’osteria dove non entra mai nessuno. Il Castello s’innalza improvviso e lo cattura in un abbraccio senza scampo. Un castello con tanto di fantasma, ovviamente. Si tratta di Azzurrina, una bambina che scomparve in una botola nel 1375 ed il cui corpo non fu mai più ritrovato. Ma ella si ripresenta regolarmente ogni cinque anni, al solstizio d’estate. Una storia che i custodi, sconvolti, mi raccontano da anni. Narrano di notti insonni, di suonate al pianoforte senza pianoforte in salone, di impronte di bambina sul soffitto, di pianti sommessi. Come non crederci? Ricordo l’anziana custode quando arrivai la prima volta, anni fa. Una professoressa di lettere che non potrò mai dimenticare per la sua intelligenza ed umanità: Welleda Villa Tiboni. Mi disse: “Sapesse che notti, signor Bonomo. Qui non si chiude occhio mai”. E pareva convinta, davvero. Ora che se n’è andata nel mondo dei più, forse avrà risolto il suo mistero.

Pompei

Dicono che una volta nella vita Pompei sia destinazione obbligatoria. E non potrebbe essere altrimenti. Il Vesuvio ha compiuto nella sua devastazione il miracolo di una conservazione senza precedenti, paragonabile forse solo a Timgad, la città africana colonia di Traiano fondata in Numidia (Algeria) nel 100 d.c. , conservata sotto la sabbia per secoli ed oggi visibile nel suo splendore. Pompei è ritorno ad un passato millenario di cui sappiamo tutto. Il Vesuvio incombente, chiuso nel suo sospetto silenzio, scruta da lontano la sua millenaria preda. Pare impossibile, eppure per giorni vi fu quell’inferno documentato da Plinio il Giovane nelle sue due celebri lettere inviate a Tacito. Sappiamo ch’essa fu uno straordinario incrocio fra cultura etrusca, greca e romano-sannitica. Conosciamo perfettamente la struttura urbana, l’organizzazione del traffico, le architetture. Eppoi le vasche delle terme, le osterie, gli alberghi, le case dei ricchi patrizi dominate da un enorme atrio col soffitto sfondato ed una cisterna al centro dell’ambiente disposta in modo da raccogliere l’acqua piovana. Oggi Pompei, col suo milione e mezzo di presenze annue, è una città continuamente rivitalizzata, nonostante le sue contraddizioni. A tal proposito, è indubbio che la città sia stata violentata e depredata più in questi ultimi decenni che in duemila anni di storia, Vesuvio compreso. E questo a causa di tanti scapestrati ed insipienti bipedi implumi che hanno causato più danni del vulcano, tanto da parlare di sacco di Pompei. Furti su commissione di suppellettili, sparizioni improvvise di reperti, danni alle strutture architettoniche e quanto di peggio. Ma l’Italia è unica anche per questo, sempre divisa tra sacro e profano, furto e donazione, tutto e il suo contrario.​

Agrigento

I templi di Agrigento

Sono per me indefinibili a parole. Si è parlato tanto degli scempi edilizi, dei condomini a ridosso delle vestigia, ma la realtà vista sul posto è di gran lunga diversa. I siciliani hanno rispettato la vallata donandole riguardo e dovuta considerazione. I miei ricordi più vivi sono legati al color ocra caldissimo di quei massi preziosi ed il contrasto con un cielo purissimo. Ecco il tempio della Concordia, sobrio ed imponente nelle linee essenziali. Il peso della storia, il colore del Sole più alto e della civiltà dotata della più splendida intelligenza. Agrigento è Agrigento. E quelli che un tempo furono gli abitanti oggi siamo noi. La lingua greca è nella radice di moltissime parole, e loro continuano a parlare attraverso noi e la nostra memoria.​

Pomposa

Il campanile di Pomposa

Presso Codigoro e le valli di Comacchio, è il campanile più bello perché il più isolato, solenne, pieno di dignità storica ed estetica. Venendo dalla strada Romea compare improvvisamente con tutta la sua imponenza e pare tagliarci il cammino. Impossibile non fermarsi, non entrare nel complesso abbaziale benedettino, risalente all’oscuro anno 874. Le origini del campanile sono testimoniate dalla lapide, con epigrafe latina, posta alla base del campanile: architetto Deusdedit anno 1063, in piena fioritura romanica come risulta evidente dalla tipicità della costruzione, con le caratteristiche aperture a bifora, trifora, quadrifora e cuspide conica dominante sulla sommità. Penso a questo luogo a me così caro, immerso nella sua beata solitudine, come ad una sorta di reperto sopravissuto al tempo, alla malaria, al clima malsano che si respirava in questo territorio prima delle bonifiche. Dante certamente lo aveva visto nel suo tragitto e forse vi aveva dimorato. Un punto di riferimento per le genti di allora, quando la vita era breve e legata al filo della provvidenza.



Assisi

Assisi: Francesco illumina Dante e Giotto

'... nacque al mondo un sole... '

(Dante - Paradiso, XI)

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Assisi è forse il luogo più bello del mondo. Qui, le mie vicende personali si intrecciano con il cuore sacro della cultura italiana. Ad Assisi nasce la pittura moderna con il ciclo di affreschi della Basilica di san Francesco. Nel cantiere misto che prese vita verso la fine del 1200 vi operano i più grandi maestri del tempo: Pietro Cavallini da Roma, Cimabue e Giotto di Bondone da Firenze. Saranno loro a rivoluzionare il linguaggio figurativo italiano attuando il passaggio dagli stilemi bizantini, statici e solenni, a quelli prettamente “italiani” di una pittura d'azione che vede protagonisti delle scene uomini reali con espressioni, sentimenti, dinamismo. Ma il vero fondatore dell'arte moderna non è un pittore bensì un santo: Francesco. E' lui il vero ispiratore della lieta rivoluzione, il sole nuovo. Le sue vicende terrene e divine muovono l'estro creativo dei maestri pittori. Nascono le pitture coloratissime più celebri della storia dell'arte. E non solo. Dante cita san Francesco nella sua Commedia e vede nel Cantico, scritto in volgare umbro, uno dei primi modelli della rivoluzione linguistica che sancirà il passaggio dal latino solenne all'italiano del volgo. Il Cantico – con influssi toscani e francesi – è il testo poetico più antico della nostra tradizione letteraria. Arte e letteratura moderna vedono la luce dunque ad Assisi, città silente a ridosso del Subasio e delle sue rocce rosa. Per me è il luogo dei sogni e della nostalgia più dolce. Arrivare qui è un ritorno a casa, ed è difficile spiegare il perché. Tutto mi è familiare, dalle umili case alle botteghe, alle piazzette assolate, ai conventi. Mi vengono in mente i lunghi periodi di studio nelle calde estati in cui sostavo a San Damiano, a Rivotorto o all'ombra delle torri della Rocca Maggiore sempre con qualche libro in mano che illustrava quelle splendide pitture. Quante volte ho pensato al Francesco portato al cinema da Liliana Cavani ed interpretato da Mickey Rourke, attore “maudit”, in apparenza improbabile nei panni del poverello ma, viceversa, perfetto contro ogni previsione. Eppoi il luogo del silenzio assoluto, l'Eremo delle Carceri. Forse sarebbe più semplice dire che Assisi è la vita interiore, la pacificazione di ogni conflitto con me stesso, la dualità risolta e la meraviglia di esistere. Qui si è fuori dal mondo pur stando dentro, e tutto appare naturale nel suo ordine. La gente è diversa, fuori dal tempo e, in una sospensione della vita, lontana dal frastuono della civiltà.  Qui è il Colle del Paradiso.

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La Cappella della Maddalena (foto sopra), è stata dipinta - secondo Federico Zeri - da Giotto in prima persona nel 1308, subito dopo l'impresa degli Scrovegni, come risulta da un documento notarile. Nei dubbi attributivi del ciclo francescano della Basilica Superiore e di alcune pitture di quella Inferiore, questa cappella con i suoi affreschi 'spettacolosi' (secondo la definizione dello stesso Zeri) appare come uno dei punti fermi in cui si ricontra con certezza la mano del maestro fiorentino. 

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