Giorgio de Chirico (Grecia, 1888 – Roma, 1978)
Pittore complesso, soprannaturale, grande metafisico, conoscitore dell’Inconoscibile. Il 'macchinista crudele dell’umanità orrendamente mutila e manichina', come lo definì Roberto Longhi in una celebre recensione polemica del 1919. Pictor optimus si definiva invece lui, con non poca considerazione di se stesso. Difficile stabilire se la sua fama sia dovuta più al personaggio – stravagante e sulfureo nel confronto con gli altri – o alle celebri invenzioni di artista inizialmente incompreso. Certo la sua figura gravita attorno al mondo dell’occulto mentre la cifra pittorica – varia e dinamica – si muove tra follia, sogno, surrealismo estremo, nostalgie classiche e ricerche esoteriche. Il dipinto qui in esame risale alla fine degli anni ’10 del novecento, quando de Chirico irrompe sulla scena con una serie di studiate provocazioni ed ‘incidenti metafisici’, dopo la rivoluzione futurista del 1909. Nel capolavoro "Le muse inquietanti' del 1918, in un ambiente che pare un enorme palco teatrale dalla prospettiva alquanto improbabile, una coppia di statue simili a manichini, in primo piano, evoca il mondo greco pur nella stranezza dell’insieme. Difatti, al posto delle teste due forme assolutamente improbabili – estrapolate dal quotidiano – procurano un inquietante shock visivo. Qui, la vita è assente. Nell’assurdità dell’insieme, alla base delle due statue, alcuni oggetti policromi riportano alla memoria dei giochi per bambini. È logico dedurre che, il nostalgico de Chirico, ricordando la sua infanzia trascorsa in Grecia al seguito del padre ingegnere ferroviario, renda omaggio a quel mondo legato alle malinconie del tempo classico oramai perduto.
Nello sfondo, un castello fornisce la chiave per comprendere il luogo in cui ci troviamo, Ferrara, mentre ancora oltre delle ciminiere industriali richiamano l'epoca contemporanea. Sembra chiara, dunque, la volontà di far coesistere momenti storici diversi in un sorta di eterno presente o non-tempo dell'Anima. L’assenza dell’uomo è meditata con il consueto rigore concettuale del maestro. Se lo strumento per misurare il tempo è il movimento, l’immobilità della scena – eccezion fatta per le bandierine del castello mosse da un vento flebile e sinistro – rafforza il concetto della sua inesistenza, in un sistema di pensiero non legato alla ragione bensì all’intuizione dell’Assoluto. Il pittore vive una dimensione interiore in cui non hanno senso né l’ordine cronologico né l'ordine delle cose. De Chirico, abile illusionista del 'mentale' e uomo di profondissima cultura, nega, per paradosso, il mondo e la condizione umana - certo per provocare - ma soprattutto per esaltare la potenza immaginativa del pensiero cosiddetto 'irrazionale', dimensione sottile ed eterna, forse indistruttibile, che aldilà del tempo, spazio, materia e ordine logico, rende l’uomo simile a un dio.