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MY IMMORTALS

La "ragazza" di Antonello

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È con vero piacere che dedico una pagina alla Sicilia, culla della nostra civiltà, tempio della grande cultura meridionale. La Sicilia o, se vogliamo, la Magna Grecia. Poi la Magna Curia (=grande corte) di Federico II di Svevia. Siamo attorno al 1250. Nasce il mito dell’amore cortese celebrato da Pier delle Vigne, Cielo d’Alcamo, Jacopo da Lentini. Fiorisce il volgare siciliano o siciliano illustre che, arricchito da latinismi e francesismi, acquisirà il prestigio di modello per i grandi toscani che si sarebbero poi ispirati nel Dolce Stil Novo. Una tradizione atavica sempre viva, fino ai giorni nostri con scrittori quali Verga, Pirandello, Sciascia, Bufalino. E non solo. Anche una tradizione artistica. Ieri come oggi. L’oggi è rappresentato da un pittore delicato e umorale: Piero Guccione. Come non ricordare poi Francesco Messina, scultore di anime, recentemente scomparso. Ieri, un nome sopra tutti: Antonio di Giovanni de Antonio, che il mondo conosce come Antonello da Messina (Messina, c. 1430-1479), il grande artista del '400 siciliano che seppe coniugare il gusto italiano con la rigorosa grammatica fiamminga, contraddistinta da un acceso realismo dettato dalla ricchezza dei dettagli rappresentati. La sua innovazione pittorica influenzerà un grande veneto, Giovanni Bellini che, a sua volta, rifletterà la prima luce alle stelle gloriose di Giorgione e Tiziano. La vita di Antonello è fascino, struggente nostalgia, mistero. Quello stesso mistero che traspare dalla Vergine Annunziata di Palermo, capolavoro assoluto del maestro. Nel dipinto è raffigurata la Madonna non secondo i canoni dell’iconografia classica, ma con singolari peculiarità. La Madonna è una semplice ed introversa ragazza siciliana (lo si desume dalla caratteristica mantellina azzurra di vigogna) di buona famiglia, col volto bellissimo attraversato da vivide ombre, probabile simbolo dell’enigma teologico. Il suo sguardo irraggiungibile, velato da una malinconia sottile, la grazia naturale, composta; la dolcezza solenne e severa, l'intimo presagio del Dolore... sono elementi che la fanno diventare, nell'immaginario collettivo, un’autentica Gioconda della grande cultura meridionale. E, come la Gioconda, emana dalla sua essenza un fascino ultraterreno pieno di amaritùdine, preludio a una Sapienza oltre lo scibile umano, simboleggiata da un volume aperto dinanzi a lei. Il gesto della mano destra, levata in alto, richiama fortemente la virtù della silenziosa temperanza, ed è un invito ad abbandonare le passioni terrene per incontrare la purezza dell'Amore spirituale. La timida scollatura della veste, prontamente celata da un movimento elegante e pudìco, è un riferimento profano in cui riecheggia la condizione di ragazza normale ma predestinata ad una missione divina. Un particolare dell'abito che non toglie affatto sacralità alla raffinatissima composizione e di cui possiamo supporre, forse, un dinamico virtuosismo dell’artista. Ma la figura dell’Annunziata, dapprima divisa tra fermezza maschile e dolcezza femminile, fra realtà terrena e Destino celeste, si ricompone per divenire Entità unica, perfetta e senza tempo, sacra Concezione di aspetto umano e Sostanza divina. L'opera si specchia, oggi come nell'epoca in cui fu concepita, in una Sicilia pregna di contrasti e contraddizioni ma, nel contempo, devota e ricca di Sentimenti d'Amore, aggrappata con decisione ad un'incrollabile fede cristiana. 

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