Mi sono sempre chiesto quale fosse il mondo interiore del conte Balthasar Klossowski de Rola (Parigi, 1908 – 2001) al secolo Balthus. Vi era in lui un’adolescenza procrastinata contraddetta solamente da una senescenza inevitabile che era solo apparenza del corpo ma non dello spirito. La vita si impone e crea metamorfosi fisiche significative ed ineluttabili. Ma essa non può intaccare l’essenza più profonda e naturale, ciò che noi siamo da sempre. Un’essenza che mantiene a volte una peculiarità bambina perché è pur vero che anche attraverso quella stagione noi siamo passati. Balthus manteneva una costante attenzione vero i corpi sottili dall’acerbo fascino muliebre. Per lui la contemplazione della forma era funzionale ad un suo personalissimo percorso di crescita. Il miracolo della natura nelle sue manifestazioni più dolci ed innocenti suscitava in lui intuizioni profonde, ispirazioni private. E le sue bambine pareva lo sapessero. A lui si affidavano per essere consegnate alla storia delle sue immagini con superba compostezza. E forse attraverso loro vedeva qualcosa di se stesso.
Nel dipinto “Thérèse” del Metropolitan di New York, la ragazzina ci guarda con occhi felini, consapevole di una precoce maturità. La posa disinvolta e disinibita cattura l’attenzione del maestro che ci restituisce un capolavoro d’introspezione psicologica. Balthus muove in noi le forze della vita, i sensi incantati ed il profumo di una gioventù cristallizzata per sempre nel miracolo della pittura.