> back
Juna
I fili dell'invisibile
rLa pittura di Juna è respiro alto e profondo, contemplazione sublime non tanto della natura manifesta quanto di una dimensione interiore dominata da venti lievi, afflati celesti e sottili malinconie specchio di una realtà emozionale e di pensiero che sembra percorrere i sentieri dell’umana solitudine. Gli spazi, le luci ed i colori della natura sono i pretesti per sviluppare l’indagine di un sentimento privatissimo nei confronti della vita e del suo mistero. Juna non ricerca lo spettacolo conclamato del paesaggio fine a se stesso, nei suoi canoni più convenzionali. Ella dipinge anzitutto per sé, per conoscersi, libera dal giudizio altrui. Non vuol piacere ad ogni costo, non è vittima di questa ossessione. Questa pittura è prima di tutto sua, solamente sua. Non vi sono forzature e non è pensata necessariamente per essere esibita. La figurazione non è mai sospinta forzatamente verso l’ignaro spettatore a sua volta catturato da ammiccamenti paesaggistici e facili effetti. Viceversa, lo sguardo della pittrice è delicato, il colore appare più soffiato che dipinto e predilige le tinte neutre, gli azzurrini del preludio ed i grigi del cielo perturbato. Non vi è il nitore assoluto, il turchese dei giorni di sole. I cieli presentano movimenti e dinamiche impreviste, sicura metafora di un animo indomito e proteso verso il mistero della vita che corre nell’abbraccio con il Tutto. In questo contesto l’umanità è ridotta ai minimi termini. I personaggi sono sovrastati dal paesaggio ed appaiono simili a figurine perdute nei cieli o negli spazi rappresentati con la forza del sentimento che invade e pervade. È l’umanità appesa al filo della vita o all’altalena dei sogni, in balia estrema dell’inatteso, di quella verità spesso imprevedibile che può rivelarsi attraverso infiniti modi, molto spesso dolorosi. Solitudini che sono grovigli da sbrogliare, confronti con l’infinito, enigmi esistenziali. Un volto di Medusa, terrifica e sensuale negli occhi cerulei, col dito sulle labbra, c’intima il silenzio. È l’attimo dello sgomento, forse della paura. Un simbolo potente, un fantasma dell’inconscio. Le nubi la invadono e la visone inquietante ci travolge con la sua truce e sinistra bellezza trasfigurata. Dall’altra parte del cielo un Angelo dolce siede sopra un’altalena sostenuta dal Nulla. Apparizione inattesa e salvifica nel sogno mellifluo di una giornata che pareva normale, senza storia. Ma qualcosa sta per accadere. Forse l’antico presagio del ritrovato paradiso si avvicina. In un'altra scena ancora, il cammino delle viole pare proteso verso una luce vicina. È la speranza di un divenire nuovo. La viola, fiore dell’Eden, è simbolo dell’umiltà ritrovata, è il profumo della giovane semplicità e della virtù che non conosce ostacoli. La vita continua, e continua davvero. Il mondo di Juna è preziosa rarefazione di forme e colori, discreta presenza della luce, mai invasiva o abbagliante. Eppoi un ulteriore elemento: la sensualità. Qui viene richiamata simbolicamente nelle sembianze di una donna giovane, discinta nell’abito smeraldino e timorosa dei primi bagliori del giorno, con il volto che si cela melanconico nel palmo di una mano. Ma, tranne questa divagazione iconografica, la sensualità non viene quasi mai evocata esplicitamente. Essa traspare dalla delicatezza trascendente dell’insieme, da quell’atmosfera ammaliatrice che ci conduce dentro queste pitture che paiono finestre di un aldilà che ci attira a sé con una forza sconosciuta. È il fascino di Juna, del suo mondo silenzioso e riservato, frutto di una sensibilità attenta che vede e sente ciò che non si potrebbe descrivere a parole. Ci vien voglia di entrare nei dipinti per sedere accanto a quelle figurine minute e lontane per condividere emozioni, respiri, battiti di cuore. L’Arte regala immagini e suggestioni, materializza dimensioni inedite e desideri segreti. Mentre noi, attoniti, davanti a queste cartoline interiori, continuiamo a sognare.
GIANCARLO BONOMO